Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise
Genesi 4,8
Ha un che di sinistro il fatto che le prime parole che Caino rivolge al fratello siano proprio queste e non altre.
Certamente, all’autore biblico interessava descrivere questo omicidio – il primo fratricidio per l’esattezza – per fini pratici che lui solo conosceva. Forse per esemplificare e miticamente fondare la lotta tra chi si riteneva discendente dell’una o dell’altra stirpe, quella di Caino e quella di Abele.
L’invidia che toglie il fiato
Sul piano narrativo, però, questa assoluta povertà di parole di parole tra i due fratelli, mentre dentro Caino montava il furore omicida è davvero sinistra!
Del resto, l’invidia provata verso qualcuno è avara di parole, perché parlare con chi si invidia genera sofferenza e soprattutto rabbia! La rabbia di sentire e vedere come qualsiasi cosa faccia, dica o pensi l’invidiato sia come un terribile e ingiustissimo affronto all’esistenza di chi non fa, non ama, non ha parole proprie e, soprattutto, ha rinunciato ad essere chi veramente voleva essere.
Andiamo in campagna! Il testo ebraico, alla lettera, dice: Andiamo nel campo! (in Ebr. שָׂדֶה sadeh). Nel campo che Caino ogni giorno coltivava, ma che produceva per lui solo spine e cardi (cfr. Genesi 3,18).
Una terra ingrata quanto odiata da chi guardava con invidia chi invece offriva con cuore contento a Dio i frutti di un mestiere fatto con passione e dedizione. Se ne stanno un po’ lì, insieme, probabilmente immersi ancora entrambi in un silenzio imbarazzante e gravido di conseguenze.
Lasciarsi dominare dalla “bestia”
Evidentemente, Caino era stato ormai assalito dalla bestia che era accovacciata alla porta di casa sua (cfr. Gen 4,7), il demonio furioso ed invisibile dell’invidia rabbiosa.
Ma ormai era troppo tardi per tenerla a bada. L’ebraico dice che Caino si avventò su di lui (in Ebr. wayyaqom Kayin el-hevel וַיָּ֥קָם קַ֛יִן אֶל־הֶ֥בֶל), come uno che non sopporta più neppure la presenza dell’altro e non può far altro che fuggire o, come in questo caso, avventarsi come una belva selvatica sull’oggetto (apparente) della sua infelicità.
Il testo diventa, se possibile, ancora più laconico e concentra tutto la hybris di Caino in una sola frasetta: lo uccise. Lo uccide nel campo, dove non ci sono testimoni e dove la vittima non può gridare aiuto e trovare soccorso. Una scena lugubre e drammatica che continua a riempire le prime pagine di cronaca nera dei nostri giornali.
La Bibbia ci offre uno spaccato davvero incredibile di come la rabbia provocata dall’invidia agisce e, perciò, di come può essere affrontata. Forse qualche giornalista potrebbe ispirarsi a queste antiche pagine, non limitandosi a dire: sembrava una brava persona …
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