Il Libro di Giobbe è suddiviso in 42 capitoli. È importante notare che il libro può essere suddiviso in tre parti principali:
La sofferenza di Giobbe (capitoli 1-2): questi capitoli iniziali ci presentano Giobbe, un uomo retto e giusto, ma che viene improvvisamente colpito da una serie di tragedie, tra cui la perdita dei suoi beni, della sua salute e della sua famiglia.
Il dialogo con gli amici (capitoli 3-37): la parte centrale del libro è dominata da un dialogo tra Giobbe e tre amici: Elifaz, Bildad e Zofar.
Questi amici cercano di spiegare la sofferenza di Giobbe attraverso il concetto teologico della rettitudine e del castigo divino: se sei retto davanti a Dio non puoi soffrire come soffriva Giobbe. Egli, tuttavia, difende la sua rettitudine e chiede spiegazioni a Dio.
La risposta di Dio e la restaurazione di Giobbe (capitoli 38-42): la risposta divina arriva in modo impressionante con una serie di discorsi in cui Dio esibisce la sua grandezza e la sua sovranità.
Alla fine, Giobbe riceve la sua risposta e viene restaurato nella sua salute e nel suo benessere, dimostrando la bontà di Dio.
Il nome di Giobbe in Ebraico
In Ebraico, Giobbe corrisponde a “אִיּוֹב” (Iyyov). Il significato esatto del nome “Iyyov” non è del tutto chiaro, ma ci sono alcune teorie sul suo significato potenziale in ebraico.
Alcuni studiosi suggeriscono che il nome possa derivare dalla radice ebraica איב (‘yv), che significa “essere oggetto di inimicizia”. Questo potrebbe riflettere l’odio o la discordia che Giobbe sperimenta nella sua vita a causa delle sue sofferenze.
Altri studiosi suggeriscono che il nome potrebbe derivare da una radice ebraica che suggerisce ritorno o ripristino. Questa interpretazione potrebbe riflettere la restaurazione e il ritorno della prosperità di Giobbe alla fine del libro.
Temi importanti
Il Libro di Giobbe affronta diversi temi cruciali a livello esistenziale e teologico:
Il problema del male e della sofferenza: il libro si concentra sul problema eterno del perché il male e la sofferenza colpiscano anche le persone giuste. La storia di Giobbe solleva interrogativi sulla giustizia divina e sulla natura umana.
Il problema, sullo sfondo, è che Dio è irraggiungibile nella sua sublime sapienza. Il tutto sta a scoprire il divino che è in noi – e che si manifesta attraverso il prodigio stesso della vita – e di lì partire per trovare le risposte giuste alla sofferenza, oltre ogni proiezione o mistificazione.
La rettitudine di Giobbe: Giobbe è descritto come un uomo retto e integro, ma le sue sofferenze mettono in dubbio la rettitudine e la lealtà dell’umanità nei confronti di Dio. Questo solleva domande sul concetto di fede e fedeltà in tempi di crisi.
Infatti, la crisi, la malattia non sono “eventi mandati da Dio” nonostante siamo fedeli e retti, bensì fanno parte del nostro pieno inserimento nei processi naturali e biologici che portano ogni essere umano ad “ammalarsi”.
La questione non è “Dio è stato ingiusto come me che sono tanto bravo”, bensì “mi sento pienamente partecipe del creato e dei suoi processi?”
La superbia umana e la trascendenza di Dio: il libro non dà una risposta precisa a questi temi, ma rimanda alla grandezza incommensurabile di Dio, al suo progetto d’amore, a questa intelligenza amorevole, davanti alla quale non resta che inchinarsi e nella quale occorre fondersi, prima o poi.
Versetti chiave
Giobbe 1,21: «Nudo uscii dal seno di mia madre,
e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,
sia benedetto il nome del Signore!».
Giobbe 2,10: «Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?».
Giobbe 38,1-3: Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine:
Chi è costui che oscura il consiglio
con parole insipienti?
Cingiti i fianchi come un prode,
io t’interrogherò e tu mi istruirai.
Giobbe 42,5-6: Io ti conoscevo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti vedono.
Perciò mi ricredo
e ne provo pentimento sopra polvere e cenere.
Il Libro di Giobbe rimane un testo biblico straordinario, che sfida le nostre concezioni di sofferenza, giustizia e la nostra relazione con Dio. Esplorandolo, possiamo trovare ispirazione per affrontare le sfide della vita e rafforzare la nostra comprensione della fede.
I tre “amici” di Giobbe
I tre amici di Giobbe, Elifaz, Bildad e Zofar, svolgono un ruolo significativo nel Libro di Giobbe, poiché sono coinvolti in un dibattito teologico e filosofico con Giobbe sulla natura del suo dolore e delle sue sofferenze. Ognuno di loro ha una personalità e un approccio distinti alla situazione di Giobbe, e la loro fisionomia, nel senso figurato, riflette le loro diverse prospettive.
Elifaz il temanita
Elifaz è descritto come il più anziano dei tre amici, il che suggerisce un’aria di saggezza e autorità. La sua fisionomia spirituale è quella di un uomo molto religioso e conservatore. Egli è un devoto aderente alla tradizione e alla rettitudine.
Nelle sue parole, Elifaz si presenta come un saggio, ma talvolta può apparire un po’ paternalistico e giudicante, spingendo Giobbe a cercare il perdono di Dio.
Bildad il suhita
Bildad è descritto come un uomo di mezza età, quindi potremmo immaginarlo come un individuo solido e maturo. La sua fisionomia spirituale è di un tradizionalista che crede fermamente nella legge divina e nell’ordine del mondo. Ritiene che il male sia sempre il risultato del peccato.
Nel dibattito, Bildad è il più severo dei tre amici e spesso sostiene che Giobbe sta soffrendo a causa dei suoi peccati.
Zofar il naamatita
Zofar è spesso visto come il più giovane e impulsivo dei tre amici, il che suggerisce una certa inesperienza. La sua fisionomia spirituale riflette un’interpretazione molto rigorosa della religione, enfatizzando la punizione divina per il peccato.
Zofar è il più fervente dei tre nel sostenere che Giobbe merita il suo dolore a causa della sua presunta empietà.
Il giovane
Nel Libro di Giobbe, dopo il lungo dibattito tra Giobbe e i suoi tre amici (Elifaz, Bildad e Zofar), compare un quarto personaggio, un giovane, che si reca da Giobbe per portare ulteriori consigli e risposte.
Questo giovane non è nominato direttamente nel testo, ma è spesso chiamato il “giovane” o il “giovane Elihu” per distinguerlo dagli amici di Giobbe. La sua apparizione avviene nei capitoli 32-37.
Elihu è descritto come giovane e pieno di energia. La sua giovinezza è in contrasto con i tre amici anziani di Giobbe, che hanno già discusso con lui. Questo suggerisce un approccio fresco e innovativo al problema della sofferenza di Giobbe.
Egli esprime un certo risentimento nei confronti degli amici di Giobbe, poiché essi non sono stati in grado di fornire una risposta soddisfacente alle questioni sollevate da Giobbe. Tuttavia, egli si comporta in modo più rispettoso e diplomatico rispetto ai tre amici anziani.
Come i suoi predecessori, Elihu è preoccupato per la giustizia divina. Egli crede che Dio sia giusto e che le sofferenze degli uomini siano spesso una conseguenza delle loro azioni.
Il giovane presenta una visione teologica che differisce sia da quella di Giobbe che da quella dei suoi amici anziani. Egli sostiene che Dio usa la sofferenza come mezzo per insegnare agli esseri umani la rettitudine e l’umiltà. La sua prospettiva è più orientata all’educazione spirituale.
Il ruolo di Satana
Nel capitolo 1 del Libro di Giobbe, Satana – in Ebraico שָׂטָן satan “avversario” – svolge un ruolo significativo nella storia di Giobbe e nelle sue prove.
La figura di Satana in questo contesto biblico è notevolmente diversa da come spesso viene concepita nella teologia successiva, ma svolge un ruolo chiave nella narrazione.
Nel capitolo 1, Satana appare come un membro del divino consiglio di Dio. Non è affatto la figura demoniaca con corna e forche che possiamo immaginare. Invece, è un essere angelico che svolge il ruolo di “l’accusatore” o “il pubblico ministero” davanti a Dio.
Egli non agisce in modo indipendente, ma opera con l’approvazione divina. Dio chiede a Satana se ha notato il suo servo Giobbe, un uomo giusto e integro.
Satana risponde insinuando che Giobbe è giusto solo perché è stato benedetto da Dio con prosperità e benessere. Egli suggerisce che, se Giobbe fosse sottoposto a prove e sofferenze, avrebbe maledetto Dio.
Dio accetta la sfida di Satana e consente a Giobbe di essere sottoposto a prove estreme, tra cui la perdita delle sue ricchezze, del suo bestiame e della sua famiglia. Nonostante le terribili sofferenze, Giobbe non maledice Dio.
Tuttavia, nelle esperienze di tutti i giorni, quando soffriamo, quando viviamo delle avversità non è così scandaloso imprecare, perché l’imprecazione e perfino la bestemmia (cfr. anche Mt 12,31) non sono – in genere – dirette contro Dio, il Dio vero, ma contro l’immagine che ci siamo fatti di lui, che evidentemente è idolatrica.