Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!
Genesi 3,19
Dunque non sole verdure (cfr. Genesi 1,29-30), ma anche pane, in Ebraico léchem (לֶחֶם). In realtà, lechem significa “cibo” in generale e perciò non solo il pane, ma anche gli altri elementi di un’alimentazione sana ed equilibrata.
Significa dunque che l’immagine archetipica dell’uomo prevede un’alimentazione che comprende anche la carne?
Mangiare il pane col sudore in una logica di competizione
Il testo ebraico non lo suggerisce in alcun modo e si ha modo di pensare che qui si indichi semplicemente il pane. Tra l’altro, la prima parte del versetto 19 è anche la fonte di un famoso detto popolare: guadagnarsi il pane col sudore della fronte.
Al di fuori dell’Eden – ossia la condizione ideale di comunione tra l’uomo e il creato e tra l’uomo e Dio – tutto è più difficile, perché l’uomo è lasciato a se stesso.
Forse, sarebbe meglio dire che – secondo la Bibbia in Ebraico – l’uomo si abbandona a se stesso, quando non sa più dov’è Dio, né chi egli effettivamente sia e si erge con arroganza e superbia al di sopra di tutto.
Scopre così, con amarezza, che nessuno ti regala nulla, che ogni cosa, anche la più piccola, si ottiene facendo concorrenza, eliminando i potenziali avversari. Insomma, una vita dove non esiste più la cosiddetta “logica della gratuità”.
La lotta per la sopravvivenza
Insomma, si può essere vegani o vegetariani, ma non è questa la condizione che risolve radicalmente i problemi per la sopravvivenza (interiore ed esteriore) dell’uomo.
Il pane è il simbolo ebraico di un cibo ottenuto da un uomo che lotta per la sopravvivenza e che deve bastare a se stesso.
A nulla varrà mangiare solo erbe e frutta se non si vive nel contesto di una sicurezza che viene solo dal sentire come il proprio corpo e la propria anima sono in armonia con tutto, tutti e con Dio.
Perché, anche se ci crede immortali, prima o poi, si torna a quella terra da cui siamo stati tratti.
Il legame inscindibile tra uomo e terra
Il testo, qui come nel capitolo secondo, pone in evidenza lo stretto legame tra Adam (in Ebraico אָדָם – “Adamo”, ma anche “umanità”) e adamàh (אֲדָמָה il “suolo”) da cui è stato tratto.
Un’appartenenza, insieme a quella di Dio, che l’uomo drammaticamente dimentica quando entra nella dimensione della ‘perdizione’, ossia la dimensione sospesa di chi si aliena da tutto, di chi è costretto a trovare in se stesso criteri ed elementi che non potranno mai sostituire Dio.
Certamente, Egli si manifesta attraverso l’uomo, la sua biologia, la sua esistenza, ma la sua essenza – quella che dobbiamo adorare – è sempre non attingibile e ineffabile!
Un’appartenenza così strutturale – quella della terra e quella di Dio – che rappresenterà l’unica nostra memoria dopo la morte.
Infatti, torneremo ad essere quella polvere – in Ebraico ‘afar (עָפָר) da cui siamo stati tratti e quella sostanza che vive per sempre in noi: l’anima.
Tutto il resto, un giorno, sparirà. Tutta la nostra industriosità, la nostra genialità, il nostro ingegno, tutto. Resterà solo il pulviscolo di cui siamo fatti e la luce che lo teneva insieme.