Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita.
Genesi 3,24
Vale la pena di immaginare la scena qui raffigurata fin nei dettagli. Solitamente si immagina l’ingresso del Paradiso terrestre custodito da un cherubino con in mano la spada sfolgorante. A ben vedere però non è così e ciò è evidente nella traduzione in italiano. Si tratta non della porta dell’Eden, ma della via che conduce all’albero della vita.
Il fascino irresistibile di una vita dalla durata indefinita
L’albero della vita rappresenta l’eternità che all’uomo è preclusa poiché dovrà morire. Egli però, avendo mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male, desidera mangiare anche dell’albero della vita e vivere per sempre (cfr. infatti Genesi 3,22).
Infatti, il dinamismo interiore all’uomo di infrangere costantemente i limiti della natura umana per conoscere cose sempre nuove necessiterebbe di un contesto illimitato per poter essere pienamente soddisfatto.
Detto in altre parole, posso pretendere di giungere ad una conoscenza universale solo se davanti a me ho una prospettiva di vita indefinita. Ma in realtà non è così. Ed anche se i cosiddetti patriarchi pre-diluviani – tra cui Adamo ed Eva – vivranno oltre i cinquecento anni (cfr. Genesi 5), tuttavia essi prima o poi dovremmo morire.
Dunque, la possibilità di mangiare dell’albero della vita è irreale. Gli autori biblici lo sapevano bene, ma vollero esprimere questa loro consapevolezza attraverso il linguaggio mitico di questi versetti.
Utnapishtim
Essi ritraggono non la conseguenza del cosiddetto ‘peccato originale’, bensì la condizione umana di ieri e di oggi. La via all’albero della vita è allora concretamente il modo in cui può essere concretamente raggiunta l’immortalità. Al di fuori della Bibbia, l’epopea di Gilgamesh narra che il superstite del diluvio – Utnapishtim – e sua moglie furono resi immortali dagli dei.
Egli diventò tale perché credette al messaggio onirico inviatogli dagli dei per avvertirlo del diluvio e per istruirlo su come dovesse costruire l’arca. Così fu premiato con l’immortalità diventando simile agli dei. La similitudine divina di Utnapishtim è dovuta però all’obbedienza agli dei, mentre Adamo ed Eva disubbidirono a Dio.
Ciò che è dunque chiaro – attraverso le immagini sia dell’epopea di Gilgamesh che di quelle nella Genesi – è che l’obbedienza a Dio porta alla vita, mentre la disobbedienza porta alla morte.
Tuttavia, a differenza dell’epopea, l’autore della Genesi dice chiaramente che l’immortalità è un’impossibilità per qualsiasi uomo e che non esiste alcun modo per ottenerla. Infatti, la via che vi conduce è sbarrata da due presenze che si trovano ad oriente del giardino dell’Eden: il cherubino e la fiamma della spada fiammeggiante.
Il cherubino e la spada
Da questo versetto deriva l’immagine, così cara ai cattolici, di San Michele – dall’ebraico Mikael “Chi come Dio?” – con la spada in mano, messo a custodia del Paradiso. Tuttavia più che all’identificazione precisa con un angelo è piuttosto al significato simbolico che occorre prestare attenzione.
I simboli qui sono due: il fuoco e la spada. Entrambi sono simboli di purificazione e di iniziazione. Se sostituiamo l’immortalità fisica preclusa all’essere umano con la possibilità di una vera vita interiore eterna ed indistruttibile allora coglieremo il senso profondo di questo versetto.
L’Eden è allora la cifra di una vita in armonia con Dio, con se stessi e con il creato. Una condizione che è perduta, ma che può essere anche ritrovata. Come? Attraverso un processo di purificazione che non consiste principalmente in un cammino di mortificazione dei sensi.
La via ossia il modo per tornare all’armonia totale è quella di purificare i nostri sensi – l’udito e la vista soprattutto – per tornare ad ascoltarci per vedere ciò che veramente siamo, nel profondo. Solo così, sarà possibile scoprire il luogo eterno dove abita Dio che si manifesta attraverso i sogni e i simboli che sono come l’anima mundi attraverso la quale tutto vive, per sempre. Solo così l’Eden non sarà mai perduto per sempre!
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