Negli ultimi decenni, la ricerca sulla formazione del Pentateuco ha visto un’evoluzione significativa, con approcci che hanno superato la rigida suddivisione della teoria documentaria classica (J, E, D, P) a favore di modelli più complessi e stratificati. Le teorie attuali propongono che il Pentateuco sia il risultato di un lungo processo di redazione, che ha coinvolto vari autori e tradizioni nel corso dei secoli. In questo contesto, l’archeologia svolge un ruolo essenziale, fornendo elementi concreti che possono confermare o mettere in discussione le ipotesi accademiche sulla composizione dei testi.
La revisione dell’ipotetica teoria documentaria
Le teorie classiche, come quelle formulate da Julius Wellhausen, proponevano una suddivisione del Pentateuco in quattro principali fonti redazionali: la jahvista (J), l’eloista (E), la deuteronomista (D) e la sacerdotale (P), datate tra il IX secolo a.C. e l’epoca post-esilica.
Tuttavia, le ricerche più recenti hanno evidenziato che questa ipotesi, pur utile, non riesce a cogliere la complessità delle tradizioni testuali. Studiosi come Richard Elliott Friedman, autore di Who Wrote the Bible?, hanno suggerito che i testi siano stati integrati e rielaborati in diversi stadi, riflettendo cambiamenti storici, politici e religiosi che si sono verificati tra l’epoca del Regno Unito e il periodo post-esilico.
Anche altri studiosi che hanno rivisitato l’ipotesi documentaria sono:
- Nel suo libro Abraham in History and Tradition (Yale University 1975), John Van Seters ha criticato la rigida suddivisione della teoria documentaria classica e ha proposto che la tradizione jahvista (J) sia stata scritta durante l’epoca dell’esilio babilonese, piuttosto che nel IX secolo a.C. Egli sostiene che i racconti patriarcali siano stati creati in risposta alle esigenze storiche e teologiche del periodo dell’esilio, piuttosto che essere testi tramandati da antiche tradizioni orali.
- In The Historicity of the Patriarchal Narratives, (De Gruyter 1974) Thomas L. Thompson mette in discussione la possibilità di utilizzare i racconti biblici dei patriarchi come fonti storiche, sostenendo che siano stati composti per rispondere a esigenze teologiche e politiche molto più tarde rispetto agli eventi descritti. Secondo Thompson, i racconti non riflettono una tradizione continua dell’età del bronzo, ma piuttosto una costruzione letteraria sviluppata nell’epoca monarchica o post-esilica.
- In The Problem of the Process of Transmission of the Pentateuch”(JSOT 1990), Rolf Rendtorff propone un approccio alternativo alla teoria documentaria, sostenendo che il Pentateuco sia stato formato non da fonti separate, ma da blocchi di tradizioni indipendenti che sono stati successivamente combinati. Questa visione enfatizza la trasmissione orale e il ruolo delle comunità nel plasmare il testo biblico, suggerendo che le redazioni finali riflettano un lungo processo di adattamento e rielaborazione.
- Nel suo libro Writing on the Tablet of the Heart (Oxford University Press 2005), David Carr esplora l’evoluzione delle tradizioni bibliche, sottolineando l’importanza della memoria culturale e della trasmissione orale nel processo di formazione del Pentateuco. Egli sostiene che i testi abbiano subito numerose revisioni e siano stati plasmati dalle esperienze storiche del popolo di Israele, come l’esilio e il ritorno, piuttosto che essere il risultato di una redazione sistematica da parte di autori specifici.
Le scoperte archeologiche e la cronologia dei patriarchi
Le scoperte archeologiche permisero di riesaminare la cronologia delle narrazioni patriarcali, suggerendo che alcune pratiche sociali e legali descritte nella Genesi riflettano usanze dell’età del bronzo medio (circa 2000-1500 a.C.).
Le tavolette di Mari e di Ebla, ad esempio, riportano nomi e convenzioni legali che presentano parallelismi con i racconti di Abramo, Isacco e Giacobbe, suggerendo una base storica per le narrazioni, sebbene filtrata attraverso tradizioni orali e redazioni successive.
Queste evidenze mettono in discussione l’idea che le storie patriarcali siano esclusivamente retro-proiezioni di epoche successive. Gli studiosi che seguono questa linea di pensiero, come Kenneth Kitchen in On the Reliability of the Old Testament (Eerdmans 2003), sostengono che i racconti possano contenere reminiscenze storiche autentiche, anche se sono state successivamente adattate e integrate in una forma narrativa più tarda.
La narrazione dell’Esodo e le evidenze archeologiche
L’Esodo rappresenta una delle questioni più dibattute nell’ambito degli studi biblici. Le teorie critiche, sostenute da autori come Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman in The Bible Unearthed (The Free Press 2001), tendono a interpretare l’Esodo come un mito fondativo elaborato durante il periodo monarchico o post-esilico per rafforzare l’identità nazionale.
Tuttavia, le evidenze archeologiche, seppur frammentarie, offrono spunti per riconsiderare l’ipotesi di un nucleo storico dietro il racconto biblico. La Stele di Merneptah, ad esempio, menziona “Israele” come un’entità già presente in Canaan alla fine del XIII secolo a.C., suggerendo che alcune memorie relative alla presenza di un gruppo di origine semitica in Egitto possano essere fondate.
Altri studiosi, come James K. Hoffmeier (The Evidence for the Authenticity of the Exodus Tradition, Oxfrod University Press 1997), propongono che gli eventi descritti nell’Esodo riflettano una serie di migrazioni e movimenti di gruppi semitici nel Delta del Nilo, che potrebbero aver ispirato il racconto biblico. In questo senso, l’archeologia può contribuire a individuare tracce di un’esperienza storica che, sebbene rielaborata in forma letteraria, non è puramente mitica.
Altre scoperte, come quelle avvenute a Tell Tayinat e Hattuša (l’antica capitale ittita), hanno rivelato trattati e testi giuridici che presentano paralleli con il Deuteronomio, suggerendo che i redattori abbiano integrato materiali provenienti da ambienti culturali diversi.
Tell Tayinat
- Localizzazione: situato nel sud-est della Turchia moderna, nella regione dell’antica Siria settentrionale.
- Storia: questo sito era un importante centro urbano nell’età del ferro, identificato con l’antica città-stato di Kunulua, capitale del regno neo-ittita di Patina/Unqi (circa IX-VIII secolo a.C.). Tell Tayinat ha restituito importanti resti architettonici, come templi e palazzi, e numerosi reperti, tra cui iscrizioni in lingua luvia e aramaica.
- Rilevanza per gli studi biblici: le iscrizioni e i testi rinvenuti a Tell Tayinat offrono parallelismi con le pratiche legali e i trattati menzionati nel Pentateuco, fornendo contesto storico e culturale che arricchisce la comprensione della società nel Levante durante l’età del ferro.
In particolare, a Tell Tayinat sono stati trovati frammenti di trattati di vassallaggio neo-assiri, in particolare un trattato stipulato dal re Assurbanipal (VII secolo a.C.) con uno dei suoi vassalli locali. Questi trattati seguono una struttura comune nei documenti dell’epoca, comprendendo:
- Preambolo e introduzione: Identificazione del sovrano e del vassallo.
- Clausole legali: Obblighi del vassallo, che doveva giurare fedeltà e sottomissione al re assiro.
- Benedizioni e maledizioni: Conseguenze positive per l’osservanza del trattato e maledizioni severe in caso di violazione.
Questi trattati di vassallaggio mostrano una struttura simile alle alleanze bibliche. Ad esempio, il Deuteronomio 28 segue uno schema simile, con una lunga lista di benedizioni per l’obbedienza e maledizioni per la disobbedienza. In entrambi i casi, la struttura dei testi è utilizzata per stabilire un rapporto di sottomissione e fedeltà, nel caso biblico tra Dio e Israele, paragonabile al rapporto tra il sovrano assiro e il suo vassallo.
Iscrizioni aramaiche
Tra i reperti di Tell Tayinat ci sono anche delle iscrizioni aramaiche, alcune delle quali sono dedicate a divinità locali e offrono formule di benedizione e protezione.
Ad esempio, un’iscrizione ritrovata a Tell Tayinat fa riferimento alla protezione di una divinità su una città o un sovrano, con invocazioni simili a quelle trovate nei testi dei Salmi. Per esempio, nel Salmo 91,1-4, dove si invoca la protezione di Dio su chi ripone la sua fiducia in Lui. Entrambe le tradizioni riflettono l’idea di una divinità che offre sicurezza e protezione al suo popolo o sovrano.
Testi religiosi e simbolismo
Tra i materiali ritrovati a Tell Tayinat ci sono anche rappresentazioni religiose che riflettono il culto locale e l’iconografia di divinità semitiche. Le iscrizioni e i simboli religiosi mostrano elementi che richiamano le divinità cananee, come Baal e El, menzionati anche nella Bibbia.
Il culto locale delle divinità a Tell Tayinat può essere collegato alla descrizione della religione cananea nella Bibbia, ad esempio in 1 Re 18, dove il profeta Elia confronta i profeti di Baal. Le iscrizioni a Tell Tayinat offrono un contesto storico per comprendere le tensioni religiose descritte nei testi biblici tra il culto del Dio di Israele e le divinità delle popolazioni vicine.
Hattuša
- Localizzazione: situata nella Turchia centrale, vicino all’attuale città di Boğazkale.
- Storia: Hattuša era la capitale dell’Impero ittita, durante il II millennio a.C. Il sito contiene le rovine di imponenti mura, templi e residenze reali, nonché archivi con migliaia di tavolette cuneiformi.
- Rilevanza per gli studi biblici: le tavolette di Hattuša, tra cui trattati internazionali e codici legali, presentano analogie con le leggi del Deuteronomio e altre tradizioni bibliche. Questi documenti mostrano similitudini strutturali e concettuali con i testi legali della Bibbia, suggerendo un contesto giuridico comune nel Vicino Oriente antico.
Tra le tavolette più significative trovate a Hattuša ci sono i trattati internazionali stipulati tra l’Impero ittita e altri regni, come il famoso trattato di Qadeš (1259 a.C.) tra il re ittita Hattušili III e il faraone egiziano Ramses II. Questo trattato è un esempio di un accordo di pace bilaterale che include clausole di fedeltà, obblighi reciproci e sanzioni in caso di violazione.
I trattati ittiti presentano parallelismi con le alleanze bibliche. Oltre al Deuteronomio, un esempio significativo è il libro di Giosuè, in particolare il capitolo 24, dove egli rinnova l’alleanza tra Dio e Israele a Sichem. Questo testo segue uno schema simile ai trattati ittiti:
- Preambolo: Giosuè 24,1 introduce le parti coinvolte, riunendo tutte le tribù di Israele e presentando il Signore come l’autore dell’alleanza.
- Prologo storico: Giosuè 24,2-13 riassume la storia del rapporto tra Dio e il popolo di Israele, ricordando le liberazioni e le benedizioni concesse da Dio.
- Clausole legali: Giosuè 24,14-15 stabilisce gli obblighi del popolo, invitandoli a servire il Signore con fedeltà e ad abbandonare gli dèi stranieri.
- Benedizioni e maledizioni: sebbene non esplicitate in forma di maledizioni nel testo di Giosuè, sono implicite nella richiesta di fedeltà esclusiva a Dio, con la minaccia di punizioni divine in caso di infedeltà, come avviene in altre parti del racconto biblico.
Il ruolo dell’archeologia nel nuovo panorama degli studi biblici
Nel contesto delle teorie più recenti sulla formazione del Pentateuco, l’archeologia non offre semplicemente una conferma o una smentita delle narrazioni bibliche, ma contribuisce a comprendere il processo di formazione del testo e le sue molteplici stratificazioni. Le scoperte archeologiche permettono di situare i racconti biblici nel loro contesto storico più ampio, suggerendo che, sebbene la Bibbia non sia un documento storico nel senso moderno, essa conserva memoria di eventi e pratiche che appartengono a un passato reale.
L’archeologia, dunque, non è solo uno strumento per validare le tradizioni bibliche, ma anche un mezzo per rivelare la complessità e la profondità del processo redazionale del Pentateuco, contribuendo a una comprensione più ricca e articolata delle antiche tradizioni di Israele.