Il rimpianto degli Israeliti per la distruzione di Beniamino
Dopo aver inflitto una sconfitta quasi totale alla tribù di Beniamino (Giudici cap. 20) gli Israeliti iniziano a pentirsi delle loro azioni. Riconoscono che una tribù di Israele è sull’orlo dell’estinzione a causa della loro vendetta eccessiva.
Questo pentimento è aggravato dal giuramento fatto a Mizpa, in cui avevano promesso di non dare in moglie le loro figlie ai Beniaminiti superstiti. Si trovano quindi in una situazione difficile: desiderano preservare la tribù di Beniamino, ma sono vincolati dal loro stesso giuramento.
Il massacro degli abitanti di Iabes di Galaad
Per trovare una soluzione al problema delle mogli per i Beniaminiti senza infrangere il loro giuramento, gli Israeliti cercano tra le tribù chi non aveva partecipato alla battaglia contro Beniamino. Scoprono che gli abitanti di Iabes di Galaad non si erano uniti alla guerra.
Decidono quindi di punirli per la loro assenza, inviando 12.000 uomini per sterminare tutti gli abitanti – comprese donne e bambini – della città, risparmiando solo 400 giovani vergini. Queste donne vengono poi date in moglie ai superstiti di Beniamino.
Il ratto delle figlie di Silo
Nonostante l’azione contro Iabes di Galaad, rimangono ancora 200 uomini di Beniamino senza moglie. Gli Israeliti ideano un altro stratagemma: durante la festa annuale del Signore a Silo, consigliano ai Beniaminiti di nascondersi nei vigneti e, quando le giovani donne di Silo escono per danzare, di rapirle per prenderle in moglie.
In questo modo, gli Israeliti ritengono di non violare il loro giuramento, poiché non stanno direttamente dando le loro figlie ai Beniaminiti.
Il motivo della narrazione di episodi così agghiaccianti
Il deuteronomista – il redattore che confezionò questi racconti – ha incluso episodi così agghiaccianti nel libro dei Giudici con una finalità ben precisa: offrire un monito sulle drammatiche conseguenze della disobbedienza a Dio e dell’assenza di una guida autorevole e moralmente integra.
Motivazioni principali della narrazione deuteronomistica:
- Critica della mancanza di un’autorità centrale:
La frase ricorrente nel libro dei Giudici, «In quel tempo non c’era un re in Israele; ognuno faceva ciò che gli sembrava bene» (Giudici 21,25), è cruciale per comprendere l’intento dell’autore. Attraverso episodi estremamente crudi, il deuteronomista vuole denunciare lo stato di caos politico, morale e religioso che regnava nel popolo in assenza di un’autorità centrale forte e fedele a Dio. - Esaltazione della necessità di fedeltà all’Alleanza:
Questi eventi, così macabri e apparentemente assurdi, sono descritti per evidenziare che l’allontanamento dall’alleanza divina porta inevitabilmente alla degradazione morale, sociale e spirituale. L’autore vuole sottolineare la centralità della fedeltà a Dio come unica possibilità di salvezza e stabilità per Israele. - Preparazione all’avvento della monarchia:
Inserendo narrazioni così dure, il Deuteronomista intende creare un evidente contrasto tra la situazione anarchica del periodo dei giudici e il successivo periodo monarchico, che viene implicitamente presentato come soluzione necessaria per garantire ordine, giustizia e rispetto della volontà divina. - Monito contro l’autonomia morale e religiosa:
La descrizione così esplicita e cruda di questi episodi vuole far comprendere chiaramente al lettore che, senza un riferimento stabile ai comandamenti divini, il popolo è destinato a degenerare in barbarie e ingiustizia.