Per alcuni il libro dell’Apocalisse (come altri della Bibbia, ad esempio Ezechiele) sarebbe il parto di una personalità psicologicamente malata. Il suo autore viveva in un mondo tutto suo, totalmente alieno da quello reale. Questa diagnosi affrettata è forse motivata dalla mancata conoscenza del linguaggio usato da Giovanni di Patmos, colui che scrisse l’Apocalisse (cfr. 1,9).
L’apocalittica
Un linguaggio che gli studiosi chiamano appunto apocalittico. Si tratta, concretamente, di un modo di pensare e di parlare che era in voga nei periodi di profonda crisi in Israele, quando le speranze non venivano più riposte nel desolante orizzonte della storia, bensì in Dio, invocato per risolvere i problemi e porre fine a sistemi politici oppressivi e ingiusti.
Pur ammettendo che, come per ogni altro libro della Bibbia, è innegabile un certo livello culturale per la formulazione del suo linguaggio. Tuttavia sarebbe limitativo dire solo questo. Secondo alcuni studiosi, infatti, l’Apocalisse sarebbe da porre in relazione al «libro sigillato da Daniele» (cfr. Daniele, 12,4), finalmente rivelato e da aprire alla fine dei tempi.
L’Apocalisse, perciò, racchiuderebbe la chiave di lettura indispensabile per capire non solo il presente, ma anche il futuro. Se, infatti, la Bibbia è la rivelazione di Dio all’uomo, allora l’Apocalisse dovrebbe esserlo in modo particolare. Infatti, il suo nome greco è apokalypsis, (accento) derivante dal verbo apokalyptein, che significa “svelare”.
Ebbene, il sofisticato ed enigmatico linguaggio dell’Apocalisse sarebbe il velo che, se scostato, permetterebbe di intravedere gli scenari futuri. Un velo intessuto con una miriade di simboli che vanno pazientemente decifrati per cogliere il drammatico messaggio che il libro vuole trasmettere.
La grande prostituta
Iniziamo con il misterioso personaggio femminile che, meglio di qualunque altro, mi permetterà di trovare l’aggancio con il periodo storico che stiamo vivendo.
L’Apocalisse parla di una donna, che è chiamata in due modi: «grande prostituta» e «Babilonia la grande» (cfr. Apocalisse 17,1-5). L’immagine della prostituta è forte e ha nell’immaginario comune un’inequivocabile connotazione negativa. Una negatività ulteriormente accentuata da Giovanni, che parla infatti di grande prostituta.
Nell’antichità, Bibbia compresa, il simbolo era usato per rappresentare anche una città particolarmente dissoluta e dedita ai culti idolatrici: Babilonia.
Storicamente quello babilonese era l’impero che, nel vi sec. d.C., distrusse il Tempio di Gerusalemme, poi ricostruito da Zorobabele alla fine di quel secolo (cfr. Esdra, 5-6). Babilonia simboleggiava quindi il nemico per eccellenza degli ebrei.
Ma la sua identità profonda è sottolineata da Giovanni quando ci svela il suo misterioso nome: «Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra« (cfr. Apocalisse, 17,5). Una prostituta e anche una città da cui dipendono altre prostitute ed altre città.
Babilonia la grande è perciò un vero e proprio archetipo di chi è ripiegato in se stesso senza alcun riferimento esterno, tutto intento all’adorazione di ciò che è frutto della propria operosità e non di Dio (cfr. per es. Sapienza, 15,6-19). Nella Bibbia questa adorazione si chiama idolatria e corrisponde a ciò che Giovanni definisce «abomini» (Apocalisse, 17,5).
Giovanni di descrive l’ambiente della grande prostituta: «Allora uno dei sette angeli che hanno le sette coppe mi si avvicinò e parlò con me:
“Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta che siede presso le grandi acque”»
Apocalisse 17,1
Tutto è grande: la prostituta, Babilonia e anche la base su cui è seduta. La distesa acquatica, profonda e misteriosa, era uno dei simboli più eloquenti delle forze del caos, fin dalla Genesi. La grande prostituta è perciò come se fosse intronizzata sul caos.
Un’altra sua caratteristica è perciò l’instabilità congenita, poiché in bilico sull’abisso. Si dice poi che la natura profonda della grande prostituta è condivisa dai sovrani e dai popoli:
«Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono ubriacati [in gr. methuein] del vino della sua prostituzione»
Apocalisse, 17,2
I regni e gli uomini dipendono da essa, poiché ne ricalcano le caratteristiche. Sono vittime di una vera e propria intossicazione; questo è il senso del verbo che Giovanni usa per descrivere la dipendenza dalla matrice: ubriacarsi e perciò diventare come la prostituta, intontiti e instabili. E persino i colori dei suoi vestiti hanno una chiara valenza simbolica:
La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, dorata con l’oro, con pietre preziose e perle, teneva in mano una coppa d’oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra.E vidi che quella donna era ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Al vederla, fui preso da grande stupore.
Apocalisse, 17,4-5
È vestita color porpora (in gr. pòrfyron) che nella Bibbia e nell’immaginario comune rappresenta un rango sociale elevato. Il rosso scarlatto (in gr. kokkinon), più intenso e vivo, è invece immagine del sangue, del peccato, ma anche della ricchezza corrispondente a un certo status.
Giovanni attinge forse all’immaginario del cortigiano, bacchettato come vizioso, corrotto, avido, adulatore, che usava vestirsi in modo appariscente e era in genere abbiente. La donna è inoltre satolla – poiché ubriaca – del sangue dei santi e dei martiri di Gesù.
Si tratta dei testimoni (altrove nell’Apocalisse si parla anche di «profeti»), che denunciano con la loro vita e con le loro parole la sua condotta, ispirandosi all’insegnamento etico della Bibbia, e in particolare di Gesù Cristo (cfr. Apocalisse, 6,11 e 12,17).
E ancora, Babilonia è «dorata con l’oro, con pietre preziose e perle». Si tratta di una traduzione dal testo originale che dà meglio l’idea di come essa sia identificata con la gran quantità di oggetti preziosi che porta addosso.
Ma ancora non basta, poiché essa tiene in mano una «coppa d’oro piena degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione». Un bell’aspetto che però nasconde orrori all’interno. Il calice d’oro, infatti, sottrae alla vista la realtà della sua condotta.
La donna è ubriaca perché, evidentemente, ha bevuto dal calice che contiene non vino rosso, ma qualcosa che gli somiglia molto: il sangue dei santi e dei martiri. Le opere della sua prostituzione sono definite abominevoli ed impure perché derivano dall’esercizio occulto di un’ingiustizia sanguinaria che tuttavia produce una ricchezza incredibilmente ostentata.(appena detto).
Il commercio della grande prostituta
Altri brani dell’Apocalisse ci aiutano a definire meglio lo scenario di Babilonia la grande. In particolare, da essa traeva origine un grande commercio di beni che però – a causa del loro valore – non erano accessibili a tutti, bensì esclusivamente finalizzati ad aumentare il prestigio della donna e di chi a lei si era prostituito:
Anche i mercanti della terra piangono e gemono su di lei, perché nessuno compera più le loro merci: carichi d’oro, d’argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d’avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo; cinnamòmo, amòmo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, cocchi, schiavi e vite umane.
I frutti che ti piacevano tanto, tutto quel lusso e quello splendore sono perduti per te, mai più potranno trovarli. I mercanti divenuti ricchi per essa, si terranno a distanza per timore dei suoi tormenti; piangendo e gemendo, diranno:
«Guai, guai, immensa città, tutta ammantata di bisso, di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle! In un’ora sola è andata dispersa sì grande ricchezza!». Tutti i comandanti di navi e l’intera ciurma, i naviganti e quanti commerciano per mare se ne stanno a distanza.
Apocalisse 18,9-11-17
Il lungo elenco di minerali preziosi, stoffe pregiate, oggetti artistici, profumi, derrate alimentari, animali indica implicitamente lo sfruttamento delle risorse naturali per l’arricchimento e lo sfarzo di pochi. Non solo risorse naturali, poiché nell’elenco figurano anche quelle umane: schiavi e vite umane che sono diventate oggetto di sfruttamento e di piacere da parte di pochi fortunati.
Tutto ciò contribuisce alla tracotanza di Babilonia la grande, tanto da farle dire:
«Io seggo regina, vedova non sono e lutto non vedrò»
Apocalisse, 18,7
L’ambientazione storica e il valore simbolio
Al tempo di Giovanni di Patmos lo scenario da lui così ben composto trovava espressione nell’Impero romano all’epoca di Domiziano, dunque alla fine del I sec. d.C. Ma il periodo della fine dei tempi – iniziato con la nascita di Gesù – supera quello di Giovanni, proiettandosi in avanti, verso il futuro.
Perciò, lo scenario apocalittico, privato dei suoi riferimenti storici, descriverebbe un sistema che può tornare a realizzarsi nella storia. Un modello sociale, politico ed economico totalmente ripiegato su se stesso, tutto dedito al mantenimento dei propri grandi privilegi, delle proprie ricchezze e del prestigio.
Oltre, dunque, ai privilegi, al potere e al prestigio, il sistema è caratterizzato da una feroce violenza sanguinaria che in genere è molto ben mascherata. Infatti, i suoi rappresentanti – uomini di potere – sono impegnati a dare un’immagine di sé opposta a quella reale. Il sistema vive grazie allo sfruttamento delle risorse naturali e umane che permettono solo a pochi un’esistenza agiata e lussuosa.
L’ambientazione desertica della visione di Giovanni getta però su Babilonia la grande un’ombra sinistra. È come se questo sistema sia in realtà assai più precario di quanto possa apparire. Esso è strutturalmente instabile, poiché i suoi illustri esponenti sono interiormente intossicati e confusi.
Quella dell’Apocalisse è una previsione talmente priva di determinazioni temporali che può realizzarsi in qualsiasi epoca storica. Personalmente ritengo però che possa ben applicarsi anche l’assetto politico ed economico dominante in Occidente ed in altre aree del pianeta.
Tratto da Simone Venturini, I grandi misteri irrisolti della Chiesa, Newton Compton 2012
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