Nonostante tutte queste proposte che abbiamo esposto, la soluzione migliore e quella criticamente più fondata è di considerare il Pentateuco nella sua attuale fisionomia, quella che troviamo nelle nostre Bibbie. Un insieme costituito da cinque parti: Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio.
La vera fine del Pentateuco
Nell’attuale fisionomia del Pentateuco, la divisione tra Deuteronomio e Giosuè è molto chiara e netta. Al cap. 34 del Deuteronomio si parla della morte di Mosè, mentre in Giosuè 1,1 si legge: «Dopo la morte di Mosè … ». Vi è perciò chiaramente uno spartiacque tra la storia di Mosè e quella di Giosuè.
Del resto, Mosè è la figura fondamentale dell’intero Pentateuco, il costante punto di riferimento. Anche se non materialmente scritto da lui, il Pentateuco deriva tutta la sua autorità da Mosè. In tal senso, fintanto c’è Mosè non c’è la Torah.
È la stessa Torah il vero successore di Mosè
Essa, infatti, diventerà il punto di riferimento dei libri seguenti il Pentateuco. In altre parole, la Torah, la Legge, ossia l’intero Pentateuco è in un certo senso il “successore profetico” di Mosè (cfr. Dt 34,10). Nel Pentateuco, infatti, e solo in esso troviamo le promesse che si realizzeranno nel corso della Storia d’Israele che inizia da Giosuè 1,1.
Affermata, dunque, l’unità del Pentateuco, ossia che esso si estende come un insieme da Genesi a Deuteronomio, emerge subito un’altra questione: come è stato composto? Quali sono le fasi della sua composizione? E qui inizia una lunga storia di studi e ricerche, a partire dal XVI secolo …