Dio disse: Sia il firmamento in mezzo alle acque …
Genesi 1,5
Questa è la prima parte del quinto versetto. Dio, qui, è sempre elohim (אֱלֹהִ֑ים) – dal verbo ebraico ‘alah “incutere timore, giudicare” – che, però, non dev’essere tradotto con “dei”, perché il soggetto “disse” è al singolare. Ed anche se qualcuno decidesse di fare così, chi scrisse questo capitolo intese chiaramente elohim come nome singolare.
Forse, con ciò, l’autore voleva dire che il suo Dio era il vero Dio tra tutte le divinità adorate a quel tempo, ossia alla fine dei VI sec. a.C. Forse si tratta del superlativo di eloah (אֱלוֹהַּ), da tradurre ‘colui che è grandemente temuto’.
Più semplicemente, invece, il plurale indicherebbe tutta la gamma dei desideri umani che trovano la loro sintesi e il loro ricettacolo nella ‘divinità’. Ad ogni modo, ho dedicato diversi articoli al problema, ultimamente così discusso, degli elohim.
Firmamento, in ebraico, è raqìa (רְקִ֥יעַ), una parola ebraica che significa “barriera solida, rigida, ferma”. Di qui viene la traduzione latina – contenuta nella Vulgata di San Girolamo – molto precisa in questo caso, firmamentum ossia qualcosa che sta fermo, una barriera rigida posta “tra le acque”.
Dico qui semplicemente che, per gli antichi, il cielo non era certamente l’aria. Era invece una sorta di “cupola” o, appunto, di “volta celeste”, in cui erano incastonate le “stelle” (cfr. per esempio Apocalisse 12,4) e gli altri pianeti.
Seguendo la narrazione e secondo il modo di pensare degli antichi ebrei, la terra era completamente sommersa dalle acque primordiali. La luce splendeva sopra le acque, mentre le tenebre erano state confinate in uno spazio ad esse destinato. Non c’era ancora il “cielo”, ossia la volta azzurra che sovrasta la terra. Il firmamento, come vedremo, servirà proprio a questo scopo.