Il Faraone e l’angosciosa schiavitù

20 Marzo 2020

Nella storia d’Israele l’immagine di questa situazione [di schiavitù] è la figura del Faraone.

Il Faraone come simbolo della schiavitù per angoscia

Nel retaggio d’Israele egli è diventato l’incarnazione di ogni schiavitù a causa dell’idolatria dell’uomo prodotta dall’angoscia. È il simbolo fondamentale israelitico per tutto ciò che impedisce all’essere umano di vivere umanamente.

Infatti questa è l’esperienza di ogni dipendenza umana: basta che una persona arrivi una volta a idolatrare altri uomini, perché questo fatto diventi per lei una vite senza fine.

Ed è proprio quanto possiamo imparare per noi stessi sull’esempio di Israele.

Quando qualcuno cessa di essere uomo e diventa dio per te

Basta che una volta un altro essere umano sia stato innalzato per angoscia su un piedistallo divino, ed ecco che si può fare tutto ciò che si vuole, ma non ci appartiene più niente;

tutto ciò che si produce, tutti i frutti della nostra vita, tutto il nostro avvenire viene distrutto.

Si lavora e si lavora con una produttività sempre maggior e con un impegno sempre più grande, ma ciò non avviene che sotto la pressione dell’angoscia, per ordine altrui, e tutto ciò che facciamo non riguarda più noi.

Tutto ciò che si fa avviene soltanto perché quegli altri ci lascino in vita, per placarli e per disporli alla benevolenza.

Per bravi che si possa essere, in ultima analisi continuiamo a disprezzare noi stessi ed a vergognarci della nostra nullità.

Nulla più ti appartiene

Non si può vivere quando tutto ciò che è umano deve essere ceduto ad un altro come fosse un dio. Eppure accade fatalmente così quando la nostra vita viene divorata dall’angoscia.

Allora si cade necessariamente ai piedi di un’altra persona qualunque e si cede a lei la nostra libertà, la nostra vita, tutta la nostra esistenza e così facendo annulliamo noi stessi come persone, sempre preoccupati di venire comunque annientati senza questa schiavitù.

Il cerchio dell’auto-svalutazione

Nel cerchio dell’angoscia l’altro cresce sempre di più dissanguandoci. Si sa con precisione che tutte le divinità umane devono necessariamente trasformarsi per angoscia in autentici vampiri,

e ciononostante, nel circolo vizioso di questi sentimenti d’angoscia e impotenza, tutta la mente si rivolge in un’unica direzione e pensa solo a come possiamo servire ancor meglio queste sedicenti divinità e come possiamo ribadire più fortemente le catene della nostra prigionia.

Il mondo in cui ci troviamo a vivere è un mondo in cui domina questa auto-svalutazione e questa automutilazione, un mondo di asservimento disumano agli idoli sotto la pressione di un’angoscia incessante.

Qualcuno decide chi tu sia

Noi veniamo immediatamente dominati dal sentimento di essere soltanto ciò che altri ci hanno ficcato in testa con le loro istruzioni e i loro ordini. Di esemplare per noi, nella nostra angoscia, non c’è che l’approvazione degli altri.

Ciò che gli altri ci dicono è la nostra essenza: come se noi potessimo esistere soltanto, come una volta ebbe a dire di sé Franz Kafka, dovendoci comportare come un topo a cui è permesso correre una volta all’anno sul tappeto; come se avessimo perduto ogni diritto, anzi, ogni capacità di vivere una nostra vita personale.

Marionette manovrate da mani abili

Si può obiettare che questa è una visione troppo estrema, che le cose non stanno dappertutto così, che una cosa del genere non si può generalizzare.

E invece si può generalizzare. Basta renderci conto con chiarezza che l’angoscia, per essere efficace nella vita di una persona, non importa che sia vissuta anche soggettivamente.

Chiunque abbia navigato finora soltanto sotto la spinta del vento e sia sempre andato avanti così, forse non ha neppure avuto modo di trovare la minima occasione di osservare quanto poco egli esista realmente,

quando le sue attività siano manovrate né più né meno delle marionette, e come tutto nella sua vita apparentemente così brillante non faccia che girare intorno al fatto di piacere agli altri e di prevenire le loro critiche cercando di adeguarsi perfettamente.

Il luccichio di una vita “buona” e stimata da tutti

Egli funziona in modo così splendidamente adattato che lui stesso forse neppure avverte quanto sia vissuto soltanto dall’esterno, fino al punto che fa tutto, ma lui stesso non è niente.

Visto dall’esterno, un individuo del genere vive forse bene ed è stimato, e se ne sta letteralmente «presso le pignatte di carne d’Egitto» [cfr. Numeri 11]; solo che non esiste affatto come persona, per paura ha tradito la propria vita ed ha rinunciato alla propria libertà.

Forse in questo modo ottiene i voti più alti e i posti migliori nel riconoscimento dei semidei umani, ma lui stesso rimane uno schiavo, un individuo senza una vita personale, senza libertà, senza felicità e senza fiducia in se stessi.

(Da Eugen Drewermann, Psicologia del profondo e esegesi. 1. Le verità delle forme. Sogno, mito, fiaba, saga e leggenda, Queriniana 1996, 425-427) (Continua)

Simone Venturini

Simone Venturini

Simone Venturini, nato a Fano, Biblista e Professore di Ebraico e Studi biblici è da sempre in prima linea nel settore della divulgazione e della formazione. Vive a Roma insieme alla sua famiglia ed ha ricoperto ruoli importanti nelle più prestigiose università e istituzioni pontificie di Roma. La sua mission è quella di dare alla gente gli strumenti indispensabili per approfondire la Bibbia e capire il senso della vita e della storia.

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