La Bibbia narra storie dei patriarchi in cui Dio si svela all’umanità, parlando direttamente con loro. Ma attenzione: questo non è proprio “profezia” come la intendiamo oggi, perché la profezia biblica implica che il profeta riceva un messaggio da consegnare.
Solo con Mosè, nell’Esodo, abbiamo un profeta inviato al popolo con le parole di Dio.
In altre parole, la profezia è una specie di “call” tra Dio e l’umanità, non solo un’esperienza personale. Dio invia Mosè come portavoce divino. Ma Mosè è un profeta speciale: lui parla direttamente con Dio, mentre gli altri vedono Dio in sogni o trance.
Storia della profezia
La Bibbia ci offre una cronaca affascinante della storia della profezia nell’antico Israele.
Escludendo Mose, i primi profeti descritti nella Bibbia erano dei “veggenti”, figure carismatiche che profetizzavano in uno stato di trance, spesso indotto da musica e danza (1 Sam 19,2-24). Spesso si raggruppavano in gruppi e venivano chiamati “i figli dei profeti”.
Questi gruppi si basavano sulla relazione maestro-discepolo e avevano lo scopo di tramandare una tradizione di profezia. Non c’è una prova definitiva che questi profeti fossero in qualche modo coinvolti nella vita sociale e religiosa dell’epoca.
Con l’ascesa dei primi monarchi, Saul, David e Salomone, il ruolo del profeta ha iniziato a cambiare. I profeti assunsero alcune delle qualità carismatiche associate ai giudici nel periodo subito successivo alla conquista, mentre i re assunsero aspetti politici e militari del ruolo del giudice.
Nei primi tempi della monarchia, il profeta appariva come un uomo esemplare nell’entourage del re, profondamente coinvolto nella vita della corte reale ma allo stesso tempo capace di rimproverare il sovrano mediante parabole incisive.
Con l’arrivo di Elia ed Eliseo, i profeti si trovavano sia nei regni del nord che in quelli del sud e spesso entravano in conflitto con i re. Avevano chiaramente assunto il loro ruolo ben noto di critici della società israelita del tempo, ma non erano ancora diventati figure letterarie (1 Re 17-19; 2 Re 2).
Già nel IX sec. a.C., sia in Giuda che in Israele, i “profeti minori” (chiamati così per la quantità ridotta dei loro scritti) lanciavano feroci attacchi contro le due principali trasgressioni dell’epoca, ovvero il culto sincretistico e i mali sociali che affliggevano il paese.
Queste due questioni avrebbero impegnato i profeti per gli anni a venire.
Essi esigevano l’eliminazione persino della minima partecipazione al culto idolatrico e chiedevano una correzione delle ingiustizie commesse contro i poveri e le classi meno abbienti, sottolineando chiaramente che l’adempimento dei doveri rituali non aveva alcuna importanza se non era accompagnato da una vita basata su principi morali ed etici autentici (cfr. Amos 2,7).
I libri dei profeti
I dodici “profeti minori,” tra cui troviamo personaggi come Amos e Osea (VIII secolo a.C.), sono stati i primi a consegnarci documenti scritti dei loro discorsi profetici. Parlavano in pubblico e sembra che abbiano trascritto le loro parole, forse per uso personale o per diffonderle più ampiamente.
Mentre si avvicinava la fine della monarchia e si faceva strada una complessa mescolanza di questioni politiche e religiose, i profeti si confrontarono con nuovi orizzonti.
Isaia (740-700 a.C.), Geremia (627-585 a.C.) ed Ezechiele (593-571 a.C.) affrontarono nuove realtà politiche e l’influenza crescente della Mesopotamia sul culto israelita.
Le loro profezie sono impregnate della storia del loro tempo, poiché tutti e tre erano intimamente coinvolti negli affari del giorno e determinati a portare al popolo d’Israele i messaggi che credevano di aver ricevuto direttamente dal Dio d’Israele.
Isaia, Geremia ed Ezechiele portarono a compimento lo sviluppo letterario della profezia.
Questi tre grandi profeti scrissero racconti e poesie che rientrano tra i maggiori capolavori della letteratura ebraica. La profondità, la bellezza e l’ampiezza delle profezie attribuite a loro li hanno resi figure di rilievo agli occhi della tradizione successiva.
Con lo sviluppo dell’Ebraismo, i libri dei profeti hanno plasmato molti altri aspetti della tradizione, in particolare il concetto dell’era messianica, che affonda le radici nel mondo dei profeti.
In seguito, il misticismo ebraico ha tratto ispirazione dalle visioni profetiche di Isaia ed Ezechiele. La moralità profetica e la sua stretta connessione con la vita rituale dell’ebraismo hanno avuto un effetto duraturo.