Genesi e Apocalisse:  l’inizio nella fine, la fine nell’inizio

14 Aprile 2021

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Genesi e Apocalisse, senza dubbio i due termini biblici più esotici, e che più hanno stuzzicato l’immaginario collettivo nei secoli. Creazione e Rivelazione, Nascita e Rinascita, Alfa ed Omega, Alef e Tav, insomma … inizio e fine.

Il fascino dell’inizio e della fine

Ma cos’è veramente a rendere questi due scritti così dannatamente magnetici e interessanti? Le risposte in questi casi sono sempre molteplici, ma azzardiamo a ridurle a due:

  • la distanza storica che intercorre tra la compilazione dei due testi,
  • la distanza apparentemente abissale che le storie narrate mostrano rispetto alle nostre vite.

La Genesi è una collezione di testi ebraici raccolti quasi tre millenni or sono, probabilmente originatisi molto prima, mentre l’Apocalisse è un singolo testo composto quasi un millennio dopo in condizioni completamente diverse, da altre persone e pervenutoci solo in lingua greca anche se quasi sicuramente compilato in ebraico.

La radice è la stessa, e anche per chi non conosce l’ebraico, ad una lettura attenta ciò si può intuire addirittura dal testo italiano. Per quanto ogni traduzione sia un tradimento, la maniera di esprimersi, le immagini, la struttura del racconto, ricordano infatti da vicino quella degli scritti veterotestamentari.

La distanza temporale tra questi due testi ci incuriosisce, ci attanaglia la mente e non la molla. Mentre si cercano le tracce di un “proto-Adamo” nei deserti, nelle sale cinematografiche si proiettano film che dipingono scenari “post-apocalittici”. E così facendo ci si perde negli infiniti miasmi del tempo, nelle sue curve tutte uguali.

Se la storia è la base di partenza fondamentale per ogni ricerca su noi stessi e la nostra vita, non può però soddisfare le nostre domande profonde, che più a fondo si va più si tramutano in vere e proprie “richieste”.

Affinità sotterranee?

Infatti più si leggono in profondità i due testi e più ci si immerge nella realtà storica. Più si scende dentro l’abisso simbolico e più emerge un’affinità nascosta tra i due, e a ben sentire anche dentro di noi, come i due poli di una calamita nascosta. Quello che sentiamo in realtà non è per niente distante, perché è in un certo senso già scritto dentro di noi, ora, nel luogo più profondo del nostro cuore a cui la stragrande maggioranza di noi non ha accesso.

Più qualcosa di affine appare remoto, più l’attrazione che si prova verso di questa è maggiore. Più il bimbo si allontana dalla madre e più la vorrebbe. Più Adamo si allontana dal paradiso e più anela a ritornarci. Questo perché il simile vuole il simile, ma le apparenze molte volte ingannano e ciò che si mostra all’esterno, la “placcatura”, non coincide con l’essenza della cosa. Una pallottola placcata d’oro può contenere un cuore di piombo e viceversa.

“Poiché questi tali sono dei falsi apostoli, degli operai fraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo. E non c’è da meravigliarsene, perché anche Satana si traveste da angelo di luce. Non è dunque gran che se anche i suoi ministri si travestono da ministri di giustizia; la fine loro sarà secondo le loro opere.” (II Cor.11:13-15)

Ma è la vera chiesa a rappresentare la luce, oro, del mondo: “Voi siete la luce del mondo” (Mat.5:14)

Per estrarre l’oro da una vena rocciosa è conveniente allora utilizzare il metallo a lui più affine, che è l’argento. Eppure, l’infinita saggezza della natura, ha previsto un modo di svolgere questa operazione in modo ancora più efficace, più veloce. Qual è il metallo più simile all’oro, e quindi il migliore in assoluto per estrarlo? … L’oro stesso. La luce richiama la luce, l’abisso richiama l’abisso.

«Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate» (Salmo 42)

Distanze annullate

E allora siamo così sicuri che questi due scritti che noi in apparenza vediamo così opposti, non siano davvero così distanti tra loro? Ma soprattutto siamo sicuri di essere noi, uomini e donne “comuni”, così distanti dalle storie in essi narrate nonostante queste ci attraggano così tanto? Non siamo forse noi piccole pepite d’oro (magari ricoperte da un denso strato di piombo) in cerca di una vena dorata (vera chiesa) con cui condividere la nostra vita? O forse api davanti ad un enorme arnia piena di miele?

La falsa identità

Allora arriviamo al vero punctum del discorso: la nostra falsa identità.

La distanza fittizia che percepiamo tra noi e Dio, è direttamente proporzionale alla distorsione che abbiamo dell’idea di noi stessi. Non è infatti solo l’idea che abbiamo di Dio, come tanti sono soliti affermare, ad essere sbagliata in noi. E’ la concezione che abbiamo di noi ad essere sbagliata, separata, fratturata. Ci sentiamo come astri lontani, che lottano per sopravvivere alle tenebre del gelido spazio siderale, come fredde rocce nello spazio più nero.

Questo perché “il vaso ha vinto sul vasaio”, l’uomo freudiano pulsionale che si autogiustifica a fare il male, ha battuto l’uomo separato dal mondo che si impegna a non farlo basandosi sulla legge del suo creatore, non cercando la stima del mondo ma quella di Dio vivente, l’unico vero Dio. Non abbiamo nessuna giustificazione davanti a questo, dobbiamo tornare alla “donna della nostra giovinezza”, l’unica che ci può dare riparo e restaurare dentro di noi la nostra vera identità. L’unico modo per tornarvi è credere, e credere è stare ai patti con Dio e con la sua parola, affidandosi a lui per tutto e diffidando del nostro cuore ancora impuro e plumbeo. Lui sarà l’oro che ci estrarrà dal nostro mare di piombo.

Coltivare con pazienza

La frattura che intercorre tra Genesi e Apocalisse in realtà è un’illusione. Sono due tasselli dello stesso puzzle, la cui figura completa non è alla portata della nostra comprensione, ma non per questo è meno reale.

Ogni seme è già albero, il progetto di Dio è già stato scritto fin dall’inizio ed è giusto. Basta rimanere in questa convinzione, in questa terra interiore, per essere già sicuri, saldi nel fare il bene e evitare il male, fermi che ogni cosa nella nostra vita sta portando il frutto che già è, anche se non sembra. Basta avere la grande pazienza di conservare questa terra interiore, e soprattutto di non dimenticarsi mai dov’è l’entrata al campo.

Il segreto è conservare questa terra non secondo il nostro cuore di carne, ma secondo la legge di Dio, stando nel suo amore che è il rispetto e il timore verso la sua parola, e coltivare questa terra come fosse la cosa più preziosa al mondo, perché senza dubbio lo è.

Simone Venturini

Simone Venturini

Simone Venturini, nato a Fano, Biblista e Professore di Ebraico e Studi biblici è da sempre in prima linea nel settore della divulgazione e della formazione. Vive a Roma insieme alla sua famiglia ed ha ricoperto ruoli importanti nelle più prestigiose università e istituzioni pontificie di Roma. La sua mission è quella di dare alla gente gli strumenti indispensabili per approfondire la Bibbia e capire il senso della vita e della storia.

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