TESTO EBRAICO:
וַיֹּ֣אמֶר אֱלֹהִ֗ים יִקָּו֨וּ הַמַּ֜יִם מִתַּ֤חַת הַשָּׁמַ֨יִם֙ אֶל־מָקֹ֣ום אֶחָ֔ד וְתֵרָאֶ֖ה הַיַּבָּשָׁ֑ה וַֽיְהִי־כֵֽן׃ – wayyo’mer ‘Elohim yiqqawu hammayim mittachat hashamayim ‘el-maqom ‘echad wetera’eh hayyabashah wayehy-ken
וַיִּקְרָ֨א אֱלֹהִ֤ים׀ לַיַּבָּשָׁה֙ אֶ֔רֶץ וּלְמִקְוֵ֥ה הַמַּ֖יִם קָרָ֣א יַמִּ֑ים וַיַּ֥רְא אֱלֹהִ֖ים כִּי־טֹֽוב׃ – wayyiqra’ ‘Elohim layabbashah ‘erets wlemiqweh hammayim qara’ yammim wayya’r ‘Elohim ki thov
וַיֹּ֣אמֶר אֱלֹהִ֗ים תַּֽדְשֵׁ֤א הָאָ֨רֶץ֙ דֶּ֔שֶׁא עֵ֚שֶׂב מַזְרִ֣יעַ זֶ֔רַע עֵ֣ץ פְּרִ֞י עֹ֤שֶׂה פְּרִי֙ לְמִינֹ֔ו אֲשֶׁ֥ר זַרְעֹו־בֹ֖ו עַל־הָאָ֑רֶץ וַֽיְהִי־כֵֽן׃ – wayyo’mer ‘Elohim tadsehh ha’arets deshe’ ‘esev mizreach zerach ‘ets peri ‘oseh peri lemino ‘asher zar’o-bo ‘al-ha’arets wayehy ken
וַתֹּוצֵ֨א הָאָ֜רֶץ דֶּ֠שֶׁא עֵ֣שֶׂב מַזְרִ֤יעַ זֶ֨רַע֙ לְמִינֵ֔הוּ וְעֵ֧ץ עֹֽשֶׂה־פְּרִ֛י אֲשֶׁ֥ר זַרְעֹו־בֹ֖ו לְמִינֵ֑הוּ וַיַּ֥רְא אֱלֹהִ֖ים כִּי־טֹֽוב׃ – wattotse’ ha’arets deshe’ ‘esev mazria’ zera’ lemino we’ets ‘oseh-peri ‘asher zar’o.vo lemino wayya’r ‘Elohim ki-thov
וַֽיְהִי־עֶ֥רֶב וַֽיְהִי־בֹ֖קֶר יֹ֥ום שְׁלִישִֽׁי׃ פ – wayehy-‘erev wayehy-voqer yom shelishi
TRADUZIONE:
9Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto». E così avvenne.
Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona.
E Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie». E così avvenne:
la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona.
E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
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Temi mitologici comuni
Il tema di Dio che pone un limite all’irruenza caotica delle acque è comune sia all’Enuma Elish che nei testi ugaritici. In Enuma Elish, Marduk – il padre degli dei – uccide Tiamat e con i pezzi del suo cadavere crea il cielo e la terra. Da notare che, presso lo storico greco Berosso, Tiamat fu reso con Thalatte e di qui la parola greca Thalassa, ossia mare.
Si tratta di un chiaro indizio a favore della identificazione tra il mostro del caos ucciso (domato) da Marduk e il mare. Una identificazione presente anche nella Bibbia, dove il mare simboleggia spesso e volentieri il caos primordiale (cfr. soprattutto Giobbe 38, 8-11, ma anche Salmo 104,6-9; Prv 8,29).
Tuttavia – qui come altrove – è difficile trovare paralleli esatti tra i ditemi diffusi nell’antichità e la Bibbia, soprattutto in questi primi capitoli della Genesi.
La simbologia racchiusa nel racconto
È però innegabile che la simbologia è la stessa, perché il mare – aldilà dei nomi e delle immagini concrete afferenti alle diverse tradizioni religiose – è indubbiamente un simbolo universale che indica qualcosa di infido, di imperscrutabile, di minaccioso. Ed è proprio questa la base di partenza per comprendere a fondo i versetti del terzo giorno della creazione.
Dobbiamo anzitutto rifarci alle immagini che le parole evocano secondo lo schema della cosmografia antica. La terra – prima della creazione – coincideva praticamente con il fondale piatto di uno sconfinato oceano primordiale. L’atto creativo di Dio consiste nel far emergere la terra asciutta raccogliendo le acque in un luogo appositamente adibito per esse.
La terra asciutta fu chiamata yabbashàh (יַּבָּשָׁה֙) e la raccolta delle acque marine yammim (יַמִּ֑ים). La creazione dell’habitat umano è costituita essenzialmente da questi due ambienti nettamente separati da Dio: il mare e la terra asciutta. Quando questi due elementi tornano a confondersi, si torna alla fase caotica antecedente alla creazione.
Così sono da intendere simbolicamente le acque del diluvio (Genesi 6-8) e quelle del Mar Rosso (Esodo 14), prima che Dio intervenisse per far nuovamente emergere la terra su cui rifiorì la vita, dopo il diluvio, e su cui camminarono gli ebrei per sfuggire dal Faraone che li inseguiva.
La madre terra
Oltre al mitema dei mostri marini domati da qualche divinità, per creare il mondo, questi versetti evidenziano un altro importante tema simbolico ben presente anche in altre religioni: la madre terra. Il testo della Genesi lascia chiaramente intendere che la terra – in ebraico adamàh (אֲדָמָה) – condivide pienamente il potere creativo di Dio.
Infatti, Dio non crea egli stesso la vegetazione, ma dice: la terra produca … (in ebraico faccia uscire, germogliare). Si tratta quasi di un invito di un comando rivolo alla madre terra, affinché essa svolga il suo ruolo materno di produzione vegetale.
Si tratta, a ben vedere, di una sorta di escamotage adottato dagli antichi ebrei per evitare di attribuire alla madre terra il carattere divino che essa possiede in altre tradizioni religiose.
La mano dell’autore
Nel ritornello secondo la propria specie – in ebraico leminò (לְמִינֹ֔ו) – è facile riconoscere la propensione dell’autore di questo brano alla classificazione, alla schematizzazione.
Gli studiosi vi riconoscono la forma mentis dell’autore sacerdotale, ossia della classe sacerdotale che tornò da Babilonia, alla fine dell’esilio, stabilendosi in Giudea insieme alla popolazione rimasta in Giudea e che non fu deportata da Nabucodonosor II nel 587 a.C.
Un altro indizio di tale stile è il verbo separare – in ebraico badal all’hiphil – così presente in questi primi versetti del racconto della creazione. Evidentemente, a contatto con la cultura cosmopolita di Babilonia, gli autori sacerdotali ebbero modo di assorbire la mentalità cosmica tipica di quelle culture.
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