Spesso, dico che Ebraico – la lingua della Bibbia – è una lingua dell’anima, perché?
Ok, per gli Ebrei antichi non esisteva il concetto di anima – psiché – così come noi romanticamente oggi la pensiamo, imbevuti come siamo di pensiero greco.
Per gli Ebrei esisteva la vita – che appunto chiamavano nefesh (נֶפֶשׁ) – fatta di carne (in Ebr. בָּשָׂר basar) animata dal respiro divino di vita (נִשְׁמַ֣ת חַיִּ֑ים nishmat chayyim – cfr. Genesi 2,7).
Una vita che, però, non coincide esattamente con l’esistenza, ma con un “mondo spirituale e divino” in cui essa è inserita e di cui l’uomo è immagine (צֶלֶם tsélem) e a cui l’uomo assomiglia (דְּמוּת demùt).
Molti dicono che Dio, nella Bibbia, è descritto con linguaggio antropomorfo; per me non è del tutto esatto. È l’uomo ad essere stato creato “teomorfo” – ossia ad immagine di Dio – proprio in virtù di quello che si dice in Gen 1,26-28.
Proprio da questa “base spirituale”, da questo sostrato umano-divino, la Lingua ebraica ha saputo prendere il meglio, dando vita alle pagine più sublimi della Bibbia, come per esempio il Cantico dei Cantici, molti Salmi, oppure alcuni testi del libro della Sapienza.
Per questo motivo, per farmi capire da tutti, dico che Ebraico è una lingua dell’anima, ossia una lingua che sa attingere al livello umano in cui Dio parla e ispira.